C’è chi dice che è un ‘vizio’ che fa male, chi ne esalta gli aspetti positivi, chi lo considera una preziosa ancora di salvezza. Ma dove sta la verità? Lo abbiamo chiesto a Donata Clerici, neonatologa, già Responsabile del Reparto di Patologia Neonatale presso la Clinica Mangiagalli di Milano.
Ciuccio, alleato o surrogato? “Il ciuccio è sicuramente un comodo alleato della mamma (o di chi accudisce il bebè), che lo utilizza come rimedio di emergenza per placare il bambino quando non può consolarlo in altro modo” premette Donata Clerici, neonatologa, già Responsabile del Reparto di Patologia Neonatale presso la Clinica Mangiagalli di Milano. “E’ vero però che spesso lo si dà al piccolo come primo rimedio per calmarlo ogni volta che piange, senza cercare di capire il motivo del pianto o tentare altre forme di consolazione, come far sentire la propria voce, cullarlo, prenderlo in braccio o più semplicemente allattarlo. Certo, sono rimedi che richiedono più tempo o la presenza fissa della mamma, che non sempre può essere disponibile”. Perché piace tanto? “Il ciuccio ha una forte valenza consolatoria, perché l’atto del succhiare è qualcosa di istintivo, che il bambino faceva sin da quando era nella pancia della mamma. In più il ciuccio rappresenta un ‘riempitivo’, qualcosa che toglie la sensazione di ‘vuoto’ che il piccolo può provare quando la mamma è lontana o quando avverte una qualunque sensazione di disagio”. Può interferire con l’allattamento al seno? “Se la mamma allatta al seno, nel primo mese di vita l’uso del ciuccio dovrebbe essere limitato il più possibile: la modalità di suzione del ciuccio infatti è diversa rispetto a quella del capezzolo, quindi il neonato potrebbe trovarsi disorientato di fronte a tecniche così differenti e potrebbe non attaccarsi efficacemente al seno, compromettendo in tal modo il buon avvio dell’allattamento. Nessun problema invece se il bebè è nutrito con latte artificiale, dal momento che la tecnica di suzione di ciuccio e biberon sono identiche. Via libera al ciuccio, anche se con moderazione, una volta che l’allattamento al seno si è ben avviato”. E’ vero che il ciuccio può proteggere contro il rischio SIDS (morte in culla)? “Numerosi studi confermano che l’uso del ciuccio durante il sonno può fornire una protezione ulteriore contro il rischio SIDS (la temuta sindrome della morte in culla che può colpire, sia pure raramente, i bambini nel primo anno di vita durante il sonno): il bambino, succhiando, non va incontro alle apnee notturne e non riesce a mettersi nella posizione prona (che sembra costituire un fattore di rischio). Insomma, ok al ciuccio quando si mette a nanna il bebè, ma non facciamoci assillare dal pensiero di rimetterglielo in bocca ogni volta che cade!” Un danno per i dentini? “E’ uno dei timori più frequenti dei genitori. In realtà, fino ai 2-3 anni, il ciuccio non interferisce minimamente con la formazione delle arcate dentarie. Solo un uso prolungato e protratto nel tempo potrebbe – ma il condizionale è d’obbligo! – creare problemi di malocclusione. Quel che è sicuramente dannoso, invece, è l’abitudine di intingerlo in sostanze dolci prima di metterlo in bocca, poiché potrebbe favorire la formazione di carie, anche sui denti da latte”. Meglio il ciuccio o il dito in bocca? Il dito in bocca è un’altra forma di consolazione che può instaurarsi al posto del ciuccio o, più di frequente, dopo che il ciuccio viene tolto, soprattutto se il bambino non era pronto a questa improvvisa ‘privazione’. “Se sia più o meno dannoso rispetto al ciuccio è difficile dirlo” sottolinea la dott.ssa Clerici: “per certi versi potrebbe essere migliore, visto che non cade, non va sterilizzato, è sempre a disposizione, tuttavia va considerato che non ha la forma ‘anatomica’ del ciuccio, quindi a lungo andare potrebbe avere effetti negativi sul palato (anche se che il bambino non sta certo col dito in bocca 24 ore su 24!). Teniamo presente però che, se il dito viene spesso bagnato dalla saliva, la sua pelle potrebbe irritarsi e macerarsi più facilmente, facilitando le infezioni”.
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